di Matteo Cavezzali
Chi vive in una città crede di conoscerla, ma spesso non è così. Ho vissuto la maggior parte della mia vita a Ravenna e ancora non l’ho capita. Ravenna è una città romana, ma anche orientale, è bizantina ma anche barbara. Insomma a Ravenna è più facile capire dove non si è che dove si è veramente, perché è tante cose diverse. Ravenna è sul mare, eppure se non sai dove vederlo potresti non accorgertene. È una città assopita in un’eternità indefinita. Ho scoperto però che nasconde un segreto. Dietro il nome di Ravenna si cela in realtà Atlantide.
La città mitologica che ebbe un grande passato, e che oggi è sotto il mare. Ravenna è infatti sotto il livello del mare, e se possiamo camminare nelle sue strade senza maschera e pinne è solo grazie a una efficientissima rete di pompe idrauliche (i ravennati sono tra i pochi a pagare la “tassa di bonifica” per mantenere operativo questo sofisticato sistema). Ravenna inoltre ebbe un glorioso passato, ma poi improvvisamente divenne invisibile, per secoli. Ravenna fu tre volte capitale, prima dei romani, poi dei goti e infine dei bizantini, e poi scomparve dalle cartine, come se fosse stata inghiottita dal Mediterraneo. Sparì nel nulla. Mentre l’Italia riluceva dello splendore del Rinascimento, Ravenna era ormai solo un lontano ricordo. Rimangono così intatte le vestigia di tempi antichi e arrivare a Ravenna è un po’ come ritrovare Atlantide.
Però certe scoperte non possono avvenire senza la volontà di intraprendere un viaggio.
Arrivare a Ravenna non può avvenire per caso. Non è possibile “fermarsi” a Ravenna mentre si passa da quelle parti, a Ravenna ci si deve “arrivare”. Perché Ravenna, ovunque voi stiate andando, non è una città di passaggio. Per esempio se da Milano stai andando a Roma puoi fermarti a Bologna, o che ne so a Modena, se da Napoli vai a Torino puoi fermarti a Parma. Nemmeno se da Venezia vai a Rimini passi da Ravenna, una cosa che sfida ogni logica geografica, ma di fatto è così, google mapsdice che fai prima a passare da Bologna. Insomma, per fermarti a Ravenna devi essere diretto proprio a Ravenna, perché Ravenna è per sua natura isolata. I Romani la scelsero come ultima capitale dell’impero proprio perché secondo loro i barbari non sarebbero mai riusciti a raggiungerla. E la cosa per un po’ funzionò, poi alla fine i Goti arrivarono, presero l’ultimo imperatore, che era un ragazzino di quindici anni di nome Romolo Augusto, e posero fine all’impero esiliandolo. Ravenna era così irraggiungibile perché attorno c’erano le paludi e anche il mare su cui si affacciava era molto insidioso, non tanto per le onde dell’Adriatico, che erano tutto sommato onde bassine, niente che a un barbaro abituato ai mari del nord potesse fare paura, ma era un mare pieno di secche in cui era molto difficile non arenarsi. Ancora oggi raggiungere Ravenna è relativamente complicato, per quanto lo possa essere in tempi moderni. C’è un treno, lento lento, che ferma in bei borghi dai nomi suggestivi per i forestieri come Bagnacavallo e Godo, oppure una strada fatta appositamente per arrivare a Ravenna partendo da Bologna. “Chi della bellezza vuol godere, un po’ deve soffrire”, recita un vecchio detto locale, che suona un po’ come un monito. Questa “riservatezza” geografica ha preservato la città dalle orde del turismo di massa, che oggi, peggio dei barbari, riescono a rubare il fascino a molte delle più belle città d’arte d’Italia trasformate in parchi giochi del selfiee occupate da boutique di cianfrusaglie.
Chi giunge a Ravenna non è il turista di massa, ma è qualcuno che ha sentito un richiamo verso questa città; che sia per gli antichi mosaici, per il fascino dell’unicità dei monumenti ostrogoti, per il richiamo dei molti miti legati a queste terre, o per amore.
Molti nei secoli furono sedotti dal suo richiamo: i marinai romani, che sbarcavano al porto di Classe che dominava l’Adriatico sotto Augusto, Dante che qui trovò asilo quando a Firenze lo volevano giustiziare, e che tra le immobili pietre di questa città dorme da quasi 700 anni, qui arrivò Lord Byron, per amore della contessa Guiccioli e per la rivoluzione dei carbonari, qui Anita Garibaldi si nascose e perse la vita, tra i capanni della trafila.
Per la mitica bellezza di questa città il barbaro Droctulft tradì le sue genti, come racconta Borges, che a Ravenna arrivò cieco e la vide solo con gli occhi del fantastico. Qui Cole Porter, sotto la volta stellata di Galla Placidia, scrisse Night and Daye sotto lo stesso cielo Klimt rubò l’oro dei suoi quadri.
Qui è sepolto l’ostrogoto Teodorico, che dal Danubio scese in Italia e se ne proclamò re, e l’imperatrice romana Galla Placidia qui volle la sua magnifica tomba, senza poter mai riposarvi.
Il poeta russo Aleksandr Blok scrisse di Ravenna: “Tutto ciò che balena un solo istante e perisce, tu l’hai già seppellito nei secoli, o Ravenna” e “Soltanto nello sguardo fisso e dolce delle fanciulle di Ravenna a volte la tristezza d’un mare irrevocabile, in timida sequenza scorre e passa”.
Oggi la città è ringiovanita. Negli ultimi anni hanno aperto nuovi bar e ristoranti e pare che le persone apprezzino di più stare fuori la sera. Gli eventi culturali sono sempre di più e non è difficile trovare qualcuno con cui scambiare due chiacchiere la sera in via Ponte Marino o nel Borgo San Rocco. Ravenna è un luogo ospitale, come le città di porto di un tempo. Molte delle figure di spicco della città sono arrivate da fuori: i direttori delle biblioteche sono uno di Roma e l’altro di Firenze, il direttore del teatro è di Reggio Emilia, Riccardo Muti che di Ravenna ha fatto la sua città e qui ha voluto il suo festival è di Napoli, addirittura il sindaco è venuto da fuori, anche se non di molto, visto che è di Cervia. Se c’è qualcuno cui i ravennati guardano con più diffidenza sono proprio i ravennati stessi. Se gli pare ovvio che altri vengano in città per la sua bellezza di cui vanno molto orgogliosi, gli sembra strano invece che chi ci è nato ci rimanga. “Come mai sei ancora qui?”, me lo hanno chiesto in molti. Molti vanno via per poi poterne avere nostalgia. E poi per le feste il ravennate in esilio ritorna e passa al bar Teodora o al bar Roma a salutare gli amici per confessargli con voce tremante: “Che bello essere finalmente tornato a casa! Sembra di aver riscoperto Atlantide”.