La vita adultera
di Francesco Forlani
Della collana Scrittori (Ed. Ponte alle Grazie ) curata da Vincenzo Ostuni, La vita adulta di Andrea Inglese ha il numero di casacca 112. Un numero fortuito, casuale, ma che suggerisce un sotto-testo a questa esperienza narrativa del poeta, la sua trilogia di cui Parigi è un desiderio, è stata la prima prova ed è urgenza e soccorso, pericolo e superamento dello stesso.
C’è una traccia che collega molti autori di questa generazione brevissima, raccolta in un quinquennio, 1966 fino al 1970, ed è un’attenzione particolare alle transizioni, sia che si tratti di passaggio di testimone della storia o delle mutazioni tecnologiche, la generazione della Pantera, per dirla con una sola parola. Una generazione magnificamente raccontata da Adolfo Scotto Di Luzio in un saggio storico, Nel groviglio degli anni ottanta, pubblicato da Einaudi, essenzialmente alle prese con un disagio esistenziale, con la ricerca di un posto al sole in un’epoca di pioggia incessante e rare schiarite. Cosa unisce Tommaso, orfano della storia, e Nina, che ha quindici anni di meno e mille storie a cui poter appartenere ma a cui rinuncia? Due disertori di battaglie combattute in epoche diverse e che non hanno fatto prigionieri? Nulla, apparentemente, ed è questo che li lega al punto che nonostante i due personaggi viaggino in una successione di capitoli di volta in volta consacrati all’una e all’altro, li sentiamo vicini dall’inizio, come se da lettori si potesse tenere tra le dita una medaglia in modo da scorgere le due facce. Cosa succederà mai quando i due si incontreranno? È la domanda che l’autore suggerisce, pagina dopo pagina, storia dopo storia, spingendoci a desiderare davvero che i loro destini si incrocino – il castello è lo stesso – anche se l’essenziale, come spesso accade in amore, è proprio nel passaggio, nella transizione; una verità che i due, per ragioni diverse, conoscono perfettamente.
Se in Tommaso la fine della storia “adulta” è annunciata dal tentativo di far rivivere lo spazio abitato dal cuore cambiando il posto ai mobili che vi sono e ai loro arredi – il capitolo di questa capitolazione è quello intitolato con la massima Ognuno sogna di ristrutturare un rudere – in Nina è il corpo a resistere al diktat delle nuove tendenze dell’arte contemporanea e dei suoi mercati, ovvero quello dell’assoggettamento biopolitico dell’artista agli sfizi del capitale, come se, in altre parole, si chiedesse a un Piero Manzoni dei millennials di inscatolarsi da solo e offrirsi sottovuoto al miglior acquirente via Sotheby. Tutti ricordiamo la risposta della ragazzina a Nanni Moretti in Ecce Bombo: “Giro… vedo gente… mi muovo… conosco… faccio cose”, ma quanti Tommaso, Nina, e aggiungo Sirio, Arianna, potevano immaginarsi che quella sarebbe stata la realtà professionale in cui riuscire a farcela? Nomadi- smo e Stanzialità, fino ad oggi rappresentati nell’eterno duello fratricida di Caino e Abele, posto fisso o precariato, successo artistico o underground – magari con il motto avanguardia pubblico di merda degli Skiantos – hanno liberato il campo dalle questioni inutili. Ne La vita adulta di Andrea Inglese il mondo in cui si muovono Tommaso e Nina è un mondo talmente nuovo, nuovissimo che è bello da vedersi e basta, senza dovere per forza viverlo, annusarlo, morderlo, abbracciarlo, perché sarebbe come affondare la forchetta in un piatto fotografato su smartphone e riprodotto all’infinito via Instagram alla maniera con cui il Cristo moltiplicava il pane e il vino. Non si è più quello che si fa ma si è ogni volta la cosa che si sta facendo e che non è affatto detto si ripeterà, come del resto il successo, fame e sete mai appagati davvero. La grande truffa di Andy Warhol è stata sgamata dai più, ai minuti contati di gloria ci accedono tutti ormai, ma sono minuti contati perché subito dopo è il nulla. Nina e Tommaso questo lo sanno ma nonostante tutto provano a farsi altro da quello che le rispettive vite suggerirebbero. Rispetto a Parigi è un desiderio, dove il poeta Inglese passava il testimone al narratore, in La vita adulta, quest’ultimo corre da solo ogni singola corsa, capitolo breve, facendo però tesoro della frase poetica e del fiato che la prova del romanzo richiede, in un crescendo che il lettore asseconda dalle prime battute, dai toni preparatori alle finali trascinanti e senza tregua.
In un momento storico in cui la trasgressione è la sola strada percorribile – un ingegnere oggi ben considerato dal mercato è quello che abbia nel proprio CV almeno una decina di aziende in cui abbia lavorato – un desiderio di fedeltà a se stessi è più che un atto di rivolta, una rivo- luzione, “la schiena rivolta di fronte all’obiettivo”.