Banda larga
di Pabla Guida e Cisco Escalona
La Banda POPolare dell’Emilia Rossa, distorsione warholiana del nome di una famosa banca, simbolo dell’Emilia, nasce nel 2011 dalle fabbriche di automobili soprattutto di Modena, le mondialmente conosciute Ferrari e Maserati. Al loro attivo tre album e, ultimo nato, il pezzo Lei, basato su una canzone di Georges Moustaki, Sans la nommer. Ce ne parla Paolo Brini, uno dei fondatori.
Ci racconti come tutto è cominciato?
Il primo concerto è stato il 25 aprile 2011 nelle strade di Modena. La nostra idea era quella di riprendere la storia della Resistenza che ci sembrava ormai una “messa cantata”, svuotata di qualsiasi significato. Ci siamo ritrovati nelle fabbriche, abbiamo scoperto che molti sapevano suonare uno strumento, siamo saliti su un camion e dietro la messa cantata delle istituzioni ci siamo messi a suonare e cantare. Praticamente tutta Modena ci è venuta dietro.
Da allora abbiamo fatto tre dischi: nel 2013, Rivoluzione permanente – che era già un riferimento a Moustaki, nel 2016, Viva la lotta partigiana e nel 2020 La goccia e la tempesta.
Le origini del vostro progetto?
Tra i nostri maestri ispiratori ci sono gli Area…
Tra l’altro c’è anche un pezzo che si intitola Odessa nel vostro repertorio.
Sì un richiamo c’è anche a Odessa nel nostro repertorio, un richiamo a un evento che è successo in una fabbrica di Odessa nel 2014 e che abbiamo ricollegato al pezzo Odessa degli Area. Nel nome il POP è maiuscolo, anche questa è un omaggio agli Area. Musicalmente non ci permettiamo di compararci agli Area, abbiamo vinto il premio Materiale Resistente 2.0 nel 2019 e ci è stato consegnato da Patrizio Fariselli, ex-pianista degli Area: per noi è stato come se una divinità calasse dall’alto.
Siete riusciti da subito ad intercettare nuove forme di finanziamento. Purtroppo per voi non c’era più Gianni Sassi, fondatore della Cramps, che ha prodotto tutti, musicisti poeti…
È sempre stato il modo in cui noi viviamo. Facciamo una musica, anche nel contenuto, che riprende i canti militanti degli anni ‘60-‘70, Pietrangeli, la ricerca di Gianni Bosio, del Canzoniere, tradizioni che poi si mischiano con cose che abbiamo ascoltato anche rock, punk, ska… Un genere come questo i produttori non lo vanno a cercare con il lanternino, quindi il crowdfunding è una delle soluzioni. Noi comunque non siamo disposti ad adattare i nostri contenuti per rientrare in un format commerciale che ci permetterebbe di “sfondare”. Su Facebook abbiamo 50.000 followers. Poi forse grazie a Instagram anche i più giovani cominciano a seguirci, c’è un piccolo segnale di vento che comincia a cambiare.
La classe operaia vi è stata dietro? Ex-compagni di catena di montaggio vi hanno sostenuto?
Tantissimi. Fare la nostra musica 30-40 anni fa era più facile. Adesso sei sempre più da solo e anche controcorrente.
Ci parli dell’ultima canzone, arrangiamento della famosa canzone di Moustaki, Sans la nommer?
Ci sono delle canzoni che lui stesso ha cantato in italiano ma hanno visto delle traduzioni non proprio corrispondenti. Methèque, per esempio, non si può tradurre con “straniero”, peraltro era una traduzione di Bruno Lauzi. Sono legato a questa canzone anche politicamente. Abbiamo chiamato i Modena City Ramblers con i quali avevamo in testa già da un po’ di fare qualcosa. Gli abbiamo proposto una Deandreata, cioè prendiamo una canzone francese, la riarrangiamo diversamente e la adattiamo in italiano. Anche rispetto alla figura di Moustaki avevamo in mente di fare una cosa un po’ meticcia, zingara, anche ispirandoci un po’ alle Negresses vertes, sempre per rimanere a Parigi.
Come definiresti il vostro genere musicale?
Internaziolista è il termine che sintetizza meglio il nostro tipo di musica, che non ha confini, dal punto di vista della tipologia, del genere e della lingua. La nostra visione del mondo va oltre ogni confine e cerchiamo di tradurla anche dal punto di vista musicale. In questo un’influenza grossa ce l’ha data Daniele Sepe, che riprendeva canzoni dal mondo intero.
Chi scrive i testi e come sono integrate le citazioni?
I testi li scrivo io. Per le citazioni la ricetta non è unica. Dipende da quello che si vuole dire.
Domani ti sparo, è un covo di citazioni ma visto che le canzoni si sono un po’ perse, sono citazioni che hanno un che di provocatorio. Altre sono sottotraccia, in altri casi, come L’internazionale, che è la nostra canzone-simbolo, prendiamo la canzone così com’è. Ci piaceva tradurla nel modo più internazionale possibile cioè mischiando tutte le lingue. Comincia con l’italiano e finisce con Franco Fortini che è forse la versione più efficace in assoluto, la parte in spagnolo è quella della CNT, sindacato degli anarchici spagnoli del ’36, che hanno avuto un ruolo di massa durante la guerra civile. In tedesco quella di Rosa Louxemburg, gli Spartachisti nella rivoluzione del 19 mentre in francese è quella del maggio 1868.
C’è voluta molta ricerca, le cose non vengono fuori casualmente.
Negli anni ‘90 c’era il Posse, anche in Francia. Anche voi avete questa matrice circense? Cioè si va e si può sempre aggiungere qualcosa o qualcuno in cammino…
Attingiamo alla tradizione del gruppo aperto dei Carnascialia che era un gruppo fine degli anni ’70 originariamente formato da due componenti del Canzoniere del Lazio (Minieri e Vivaldi) con cui collaborarono Demetrio Stratos, Pagani, Teresa De Sio… La logica era di dire ci siamo noi poi arrivano altri.
Nella formazione originale eravamo in sette, i 7 samurai. Poi per chi lavora in fabbrica quando l’impegno musicale diventa più importante diventa difficile seguire. Abbiamo sostituito i musicisti metalmeccanici con musicisti professionisti, molto giovani anche, che sono una boccata di ossigeno anche per noi, possono avere una visione diversa e hanno una conoscenza superiore a chi nella vita non fa il musicista. Adesso ci siamo io, dirigente della FIOM, sindacato dei Metalmeccanici, poi altri due che lavorano alla Ferrari e alla Maserati, sindacalisti anche loro, gli altri sono musicisti professionisti che in Italia non vuol dire avere una legittimazione, campi facendo lezioni di musica, matrimoni, funerali…
Perché questo attaccamento alla Resistenza, alla cultura degli anni 70?
I nonni erano partigiani, mio nonno è stato deportato, la nonna è cresciuta in una famiglia partigiana… La strada era segnata.
Gainsbourg ne Le poinçonneur des Lilas, racconta che è sotto in metropolitana e pensa a come evadere. L’uscita come la immagini?
All’epoca i cambiamenti seguivano quelli della società, momenti di rottura importante che hanno dato una spinta. Gli Area e tutto quel movimento non sarebbero mai esistiti senza l’autunno caldo, il ’68; i 99Posse sono il frutto del movimento della Pantera; i cantautori sarebbero stati una nicchia e poco altro. Molto lo potrà fare un nuovo cambiamento dei rapporti di forza nella società, per adesso non si vede granché, ma c’è una dinamite che cova lì sotto, la situazione anche sociale è a dir poco esplosiva e non trova canali politici e quindi neanche artistici… L’arte la vogliamo usare, come diceva Maïakovski come il martello e non solo come specchio.
Anche se Maïakovski diceva anche in una bellissima poesia, “dapprima bisogna trasformare la vita poi, trasformata, si potrà esaltarla”
A proposito di arte, voi avete collaborato anche con un rapper, ho trovato l’innesto felice.
Noi siamo apertissimi. Se ti devo dire che mi piace, no. Ma non ci siamo mai posti dei limiti sul genere. Il punto è cosa comunichi, poi come lo fai. Se è per arrivare alle giovani generazioni ci può stare. Non diventeremo mai un gruppo trap ma se arriva un trapper che parla di cose per le quali si trovano dei punti su cui lavorare perché no? Abbiamo fatto un reggaeton, possiamo fare del trap.