Body and Soul
ultimo spettacolo e addio alle scene dell’Opera de Paris per il primo ballerino italiano Alessio Carbone intervistato per l’occasione.
Di Mariolina GIARETTA
La luce si accende rivelando due Figure in un piccolo spazio.
Figura 1 è stesa al suolo.
Figura 2 cammina:
sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra… ancora…
le sue mani si muovono in continuazione: toccano il suo mento, la sua fronte, il suo petto – sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra… – il suo collo, la sua bocca, le sue anche – sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra… – fronte, mento, collo, anche, petto, testa, bocca, le due mani sulle ginocchia,
Figura 2 si ferma, la testa abbassata.
Figura 1 si gira:
muove le spalle, la testa, i piedi; si gira di nuovo…
si appoggia su un gomito, la testa abbassata.
Tende un braccio verso Figura 2 che resta immobile.
Figura 1 tende le due braccia, sollevando leggermente la testa.
Nessuno dei due si muove…
Poi Figura 2 si innervosisce, si stringe la testa, la bocca aperta, si torce, si abbassa.
Si sposta verso Figura 1 che già si allontana.
Figura 2 prende Figura 1 e la tiene.
…Combattimento…
Una voce femminile suggerisce queste immagini, indicando il movimento a due corpi, soli sulla scena.
Si manifesta così, tra parola e dinamica di gesto, ciò che può essere una necessità di scambio, di lotta, di comunione, di ambivalenza, di frustrazione, di passione, di amore.
E se queste immagini in movimento producono un effetto emotivo in chi guarda è perché raccontano stati dell’animo interpretati, per conoscenza, dal nostro corpo.
Ma siamo veramente padroni della gestualità fisica e dei turbamenti dell’anima?
Attraverso la voce registrata dell’attrice Marina Hands, su un testo che enuncia una sequenza di indicazioni ai corpi dei danzatori, comincia ed evolve Body and Soul, l’ultima coreografia di Crystal Pite, creata con e per i ballerini dell’Opera de Paris.
In questo suo nuovo lavoro il ruolo del burattinaio è sostenuto dalla voce che, interagendo con i danzatori, stabilisce una serie di istruzioni, legandoli, quali marionette sensibili, al proprio “filo” sonoro.
In quell’ascolto, i corpi corrispondono alle parole con altrettante variazioni, dialoghi e opposizioni che giungono talvolta a capovolgere le parti: parola e gesto si rimandano i ruoli e chi tiene i fili non è sempre lo stesso, né, sovente, è colui che noi immaginiamo.
La geniale capacità della coreografa canadese di trasfigurare sulla scena l’insieme delle relazioni umane, tramate e poi tessute attraverso le forze contrastanti e incessanti – sia individuali che di gruppo – di un conflitto, ma anche di una comunione, consente di esplorare un nuovo linguaggio fisico ed emozionale di estremo interesse, di effettiva efficacia e di conturbante bellezza.
Sempre di più la scrittura compositiva di Crystal Pite coglie, oltre all’aspetto viscerale del linguaggio del corpo danzante, il valore aggiuntivo di un’eloquenza parlata che stimola e rivela ulteriori “stati fisici”, altri cammini dinamici, storie inedite, concepite in modo differente da corpi diversi svelanti il genere umano.
Continuando a esplorare il tema dell’individuazione, rivelato in coppia o in duelli di collettività coese ma anche ostili, Crystal Pite si focalizza sulla capacità di ciascuno di dirigere autonomamente i propri gesti e quindi i propri pensieri e i propri affetti.
I movimenti, traslati alle dinamiche delle masse e alle reazioni a catena che possono generare, si esplicitano, nella conclusione, in un universo ordinato
divenuto simile a un fervore di esercito compatto di insetti, organizzati in una potenza comune.
Il conflitto e la comunione sono i miei concetti motore in qualità di creatrice.
Il conflitto genera una tensione vitale.
Quando creo, coltivo questo conflitto in gran parte in seno al soggetto dell’opera, ma anche a livello infinitesimale nell’intimità del corpo.
Cerco di sfruttare il nuovo elemento che emerge dalla collisione tra queste due idee contrarie.
Tuttavia, cerco soprattutto di creare un legame.
Tutto ciò che intraprendo è nutrito da un desiderio di collegare le persone tra di loro.
Questa creazione gravita intorno al conflitto e alla comunione.
Sono dunque arrivata a concepirla come una serie di duo:
Duo tra due individui, tra due gruppi, tra due esseri.
Duo del Corpo e dell’Anima.
Con queste parole la Pite suggella il suo lavoro che possiede forza e verità, coinvolgendo il respiro del pubblico nello spazio, divenuto magico, del palcoscenico di Palais Garnier.
Alla conclusione gli spettatori, estasiati, hanno concesso un lungo applauso ai danzatori, eccellenti, riservando una lunga ovazione ad Alessio Carbone, primo ballerino e interprete di due pas de deux, dalla valenza appassionata e drammatica che, la sera dell’ultima recita di Body and Soul, ha dato l’addio al palcoscenico del suo teatro.
In questa occasione Focus In ha voluto fare un’intervista ad Alessio, figlio d’arte, proveniente da una splendida famiglia di danzatori italiani.
Suo padre, Giuseppe, già ballerino, è direttore di grandi compagnie e teatri, tra i quali il Cullberg Ballet e la Scala di Milano; sua madre, Iride, già incantevole danzatrice è oggi professore di danza classica; la sorella Beatrice è ballerina solista alla Scala e il fratello Alvise danzatore di flamenco a Madrid.
Alessio si è formato professionalmente alla Scuola di Ballo della Scala.
Nel 1996 ottiene il diploma ed è subito assunto nel corpo di ballo del Teatro, lasciando presagire un avvenire glorioso.
Nonostante ciò vuole anche cimentarsi e tentare l’audizione per accedere alla compagnia dell’Opèra de Paris.
Il Teatro francese lo ingaggia nel 1997 e lo promuove quadrille l’anno successivo. Nel 2000 comincia la scalata alla gerarchia della Compagnia dell’Opera diventando choriphée e, successivamente, nel 2012 sujet e premier danseur nel 2013.
Ballerino dalle qualità superbe e tecnicamente brillante, Alessio è stato lungamente applaudito da un teatro colmo all’inverosimile.
Interprete intelligente e affascinante è stato premiato per aver condotto, con ottime capacità, i suoi 22 anni di splendida carriera.
Presenti in sala la sua famiglia, diversi colleghi della Scala, i professeurs, i maîtres e i colleghi dell’Opèra, svariate étoiles, tra cui Sylvie Guillem, Ludmilla Pagliero, Eleonora Abbagnato, Dorothée Gilbert, Hugo Marchand, Brigitte Lefèvre.
Nell’occasione di un brindisi in onore di Alessio, svoltosi nel foyer di Palais Garnier affollato da moltissimi invitati – tra cui, oltre ai già sopra citati, c’erano l’attrice Sabrina Impacciatore, l’ambasciatrice italiana e la console generale d’Italia, gli ambasciatori di Irlanda e Romania – è stato interessante e piacevole poterlo intervistare.
Alessio, immagino la commozione di questa sera. Danzare in una coreografia che, sono certa, dona emozioni profonde, celebrare per l’ultima volta la ritualità che accompagna il danzatore sulle tavole sacre di un palcoscenico di tale levatura artistica, gli applausi infiniti che hai ricevuto alla conclusione dello spettacolo, insomma, cosa c’è nel tuo cuore stasera?
Nel mio cuore c’è una valanga di sentimenti perché ho ricevuto una tale quantità di emozioni che le ricorderò per tutta la vita. Questa sera ad accentuare la normale adrenalina che precede lo spettacolo c’era la consapevolezza della presenza in sala di tutti coloro che hanno condiviso con me il mio cammino di vita, come uomo e come danzatore: il pubblico, la mia famiglia, la mia compagna con i nostri due bambini; c’erano la direttrice della scuola di ballo della scala, Anna Maria Prina, i professeurs e maîtres all’Opèra, tra cui i miei adorati Gilbert Mayer e Florence Clerc, i colleghi, i partner di palcoscenico, diversi impresari e direttori di teatro. Tutti erano lì per me ed è stata una contingenza unica ed emozionante. Una persona mi detto una cosa molto bella, cui non avevo mai pensato: “Alessio, hai dato così tanto al pubblico durante la tua carriera, che adesso devi accettare di ricevere quello che noi stiamo donandoti per ciò che tu ci hai elargito”. In effetti ho avuto tantissimo… e con gli applausi finali, il pubblico mi ha manifestato un affetto enorme. Percepisco dentro di me un’infinita riconoscenza per la danza, quest’arte meravigliosa che mi ha concesso, oltre a molte splendide esperienze, ciò che ho appena vissuto.
Nonostante le regole, all’interno di una grande Maison, come quella dell’Opera de Paris, sentenzino che è giunto il tempo di fermarsi, sei ancora giovane, molto in forma e stasera è stato un piacere vederti danzare. Conoscendoti, immagino che avrai moltissime iniziative già progettate e altrettante idee in fase di definizione nella tua mente vulcanica. Raccontaci…
Da tre anni a questa parte ho creato un gruppo, Les Italiens de l’Opèra de Paris; l’ho inventato per gioco e, devo essere franco, all’inizio non pensavo diventasse la realtà attuale, cioè un vero e proprio ensemble che compie tournées in Italia, Francia, Svizzera, Spagna, Brasile, Nuova Caledonia, Cina, Giappone, Uzbekistan. Nonostante fossimo tutti impegnati dal planning dell’Opèra, siamo sempre riusciti ad organizzarci, lavorando insieme alacremente e con grande passione. E i risultati sono stati entusiasmanti. La mia più grande soddisfazione è constatare che, quando abbiamo iniziato, i componenti del gruppo erano quasi tutti giovani del corpo di ballo; oggi, dopo tre anni, li ho visti maturare molto. Chiaramente lavorare all’Opèra ha permesso loro di progredire, ma affrontare degli spettacoli fuori sede, dove cimentarsi come solisti, li ha fatti crescere. Esperienze, queste, che in teatro non sarebbero mai state possibili, soprattutto nell’interpretazione di alcuni ruoli. La mia soddisfazione è stata di vederli evolvere tecnicamente, artisticamente e quindi, con questa nuova consapevolezza, comprendere che amo gestire la “mia” piccola compagnia e, inoltre, scoprire in me una gran voglia di trasmettere. Adesso io danzo ancora, però ovviamente meno di un tempo e con ruoli più adatti alla mia età; ciò che amo oggi è accompagnare, nel loro cammino di artisti, questi ragazzi. Con Les Italiens de l’Opèra de Paris c’è stata un’energia che si è creata in seno al Teatro: altri ballerini, non italiani, sono venuti a vedere gli spettacoli e mi hanno chiesto di entrare a far parte del gruppo. Allora ho allargato un po’ il cerchio e ho pensato a serate in cui includere anche danzatori che non fossero italiani, ma pur sempre dell’Opèra de Paris. Ho iniziato quindi a portare in scena dei Gala aggiungendo altri interpreti e coinvolgendo anche le étoiles… Sono molto felice di veder ampliato questo progetto, di avere delle richieste da parte dei teatri, di organizzare delle rappresentazioni con il gruppo “italiano” ma anche con una compagnia “mista”. E mi entusiasma curare i molti dettagli che consentono allo spettacolo di essere di ottima qualità. Per qualità, oltre ovviamente alla danza, intendo avere dei professeurs che ci seguono, costumi preziosi, buoni allestimenti Illuminotecnici e sonori, insomma tutto ciò che attiene all’eccellenza. Quindi attualmente non posso affermare di essere in pensione perché sono impegnato nel preparare questi “nostri” spettacoli che, spesso, sono dei Gala di repertorio accademico, ma anche creazioni e nuove coreografie, come quelle firmate da Simone Valastro, milanese formatosi alla Scala, anch’egli ballerino all’Opèra di Parigi da vent’anni. Insomma, siamo una piccola compagnia, all’interno della grande compagnia. Con Simone, abbiamo prodotto una nuova versione del balletto Il Figliol Prodigo in una serata, dedicata a Diaghilev, che ho organizzato nei giardini dell’Alhambra in Spagna. Per me è stato importante mettermi alla prova come direttore artistico in questo evento molto complesso. Ed è stato un successo.
E l’Italia? Pensi di avviare anche nel nostro paese qualche nuova istituzione, sia essa una compagnia o una scuola?
Sto riflettendo su dove stabilirmi e ora potrei fare la follia di ritornare a vivere in Italia. Però il lavoro con i ballerini dell’Opèra sta delineandosi con un ottimo avvenire, per cui spostarmi significherebbe non avere una quotidianità di prove con i danzatori. Sto valutando quale potrà essere la soluzione migliore. Non ti nego che se mi dovessero proporre di prendere la direzione di una compagnia, certamente accetterei. Sono cresciuto in famiglia con un grande direttore, mio padre, e vederlo al lavoro è sempre stato una grande ispirazione e aspirazione. Tutto ciò si è acuito nel momento in cui ho formato questo gruppo. Ho individuato quanto mi coinvolga impugnare le redini di una compagnia. Sono ancora giovane, non devo avere fretta, ma capisco che il mio desiderio è di orientarmi verso questo obiettivo. Poter condividere in Italia tutto ciò che ho imparato qui in Francia, all’Opèra di Parigi, grande compagnia di ottimo livello tecnico e artistico, riuscire a far germinare altrove queste mie esperienze, è per me molto stimolante.
Ritrovandoti oggi, a distanza di un anno da quel giorno in cui hai dato l’addio al palcoscenico dell’Opera de Paris, come stai vivendo in qualità di ballerino e artista la mancanza dall’eccellente Compagnia e cosa pensi del virus che sta “sigillando” tutti i più celebri Teatri del pianeta?
All’Opèra, dopo il mio ultimo spettacolo, sono purtroppo cominciati gli scioperi e poi è arrivata la chiusura a causa del Covid, quindi ho la sensazione di essere rimasto “sospeso” perché non ho potuto assistere a spettacoli della compagnia e non conosco quindi la nostalgia di non essere più sulla scena. Non so che cosa avrei provato veramente nel veder danzare i miei colleghi nelle coreografie che amavo. È stato perciò impossibile comprendere l’effetto di tutto ciò e capire quale sarebbe il rammarico di non poter più essere al loro fianco. La situazione per la danza in questi ultimi mesi è tragica e si è creato un vuoto doloroso. Ricordo, quando ero obbligato a fermarmi per un infortunio, la tristezza che mi catturava: mi domandavo, se non avessi più potuto danzare, che cosa avrei fatto con l’identica passione e con la stessa carica emotiva. Era, questa, una presa di coscienza consapevole: la danza mi sarebbe certamente mancata moltissimo. Oggi purtroppo non si ha più nessuna certezza. Siamo stati formati per fare i ballerini, ma ora cosa faremo? Per quei giovani che si affacciano al mondo della professione e non possono cimentarsi con il palcoscenico tutto ciò è un enorme problema, cadono in depressione sognando emozioni al fianco dei colleghi e del pubblico. Molti danzatori in questo momento sono costretti a smettere di fare i ballerini. Nei grandi teatri hanno cancellato intere stagioni. Un collega amico del New York City Ballet mi raccontava che sarà pagato per le prove di un balletto senza la certezza – se il blocco dei teatri continuerà – di poterlo portare in scena e continuare a lavorare; dunque tra qualche mese potrà essere disoccupato. Io mi ritengo fortunatissimo di aver danzato il mio ultimo spettacolo davanti a una sala colma di persone, e sono stato felice di aver abbracciato – nel brindisi finale – centinaia di amici e ammiratori. Se il mio addio alle scene dell’Opèra fosse avvenuto in questi ultimi tempi, avrei danzato senza l’emozione mia e del pubblico. Oggi, purtroppo, non è più possibile percepire l’estasi di un teatro gremito; il presente è diventato surreale. Speriamo che presto tutto si risolva e possa ritornare il tempo della normalità.
Grazie Alessio e un immenso in bocca al lupo con la speranza che il virus possa essere sconfitto affinché una nuova strada, luminosa come quella che hai percorso, possa aprirsi davanti a te. E che sia stimolante e colma di soddisfazioni!