CGIE giovani: un chiaro di luna

di Maria Chiara Prodi

Oggi vi scrivo per trasmettervi una serie di bellissime notizie, frutto, per me, di tre anni di duro lavoro (ommeglio, duro volontariato!). La prima è che nel mondo si aggirano 115 ragazzi italiani residenti all’estero che hanno fatto rete, che hanno una voglia incredibile di impegnarsi, di mettere se stessi a servizio delle nostre comunità, e che sono già al lavoro su una decina di progetti concreti, sognati un mese fa collettivamente al Seminario di Palermo (www.seminariodipalermo.it). La seconda è che la compagine francese (Lillo Spagnolo – Metz -, Sara Fonsato – Chambéry -, Gabriele Leoncini e Federica Gorgerini – Lione -, Laura Surace – Parigi) è probabilmente una delle più toste in circolazione. La terza è che potrete conoscerla al Forum delle Associazioni del 16 giugno, visto che non hanno nessuna voglia di avanzare senza immergersi nelle associazioni e nelle istituzioni esistenti, per amplificare il contributo di tutti. La quarta è che queste risorse pazzesche, in tutto il mondo, sono state scovate e supportate dai Comites, che nella vulgata si danno per stracotti, e poi guarda un po’ cosa riescono a farti conoscere. La quinta è che quel che era stato fatto nel 2008 con diversi milioni di euro, è stato fatto nel 2019 con pochi spiccioli. Questo lo dico non per dire che si può fare politica con poco, tutt’altro, ma che la volontà politica può sopperire a quasi tutte le difficoltà di ordine economico. In questo caso lo si è fatto (di nuovo) con il valente contributo dei Comites e delle Consulte Regionali per l’Emigrazione, che, contribuendo con il costo del viaggio dei loro delegati, hanno permesso a tutti questi giovani di venire a formarsi ad un evento organizzato dal Consiglio Generale degli Italiani all’estero, in particolar modo della commissione “Nuove migrazioni e generazioni nuove”, che ho l’onore di presiedere. Il Seminario di Palermo (che idealmente riprende il filo della Conferenza mondiale dei giovani del 2008), si è tenuto dal 16 al 19 aprile e, posso dirlo, è stato un grande successo. Non solo per la qualità dell’evento (che in fondo può aver valore per lo più solo per chi l’ha vissuto), ma perché abbiamo vinto alcune scommesse importanti. La prima l’ho in parte già annunciata, e cioè che il sistema della rappresentanza istituzionale degli italiani all’estero (Comites, CGIE, Consulte Regionali per l’Emigrazione) ha una reale centralità nelle collettività, ed è stato capace di selezionare e proporre il proprio futuro migliore e più promettente, non tanto prendendo come punto di riferimento sclerotizzante il livello di istruzione, quanto la presenza all’interno delle comunità e la motivazione delle persone. In secondo luogo, i delegati ci hanno provato a essere una generazione capace di comunicare e progettare superando sbarramenti e frontiere, con linguaggi propri che travalicano la distinzione che pareva inamovibile tra nuove migrazioni e seconde, terze generazioni. In terzo luogo la sfida vinta, per me la più sorprendente, è stata quella di sentirli parlare apertamente di umanesimo e di diritto alla mobilità, di impegno politico e di voglia di cambiare il Paese, sfatando non solo il mito del disimpegno giovanile e dell’affievolirsi di alcune matrici valoriali, ma anche grattando quella patina di superficialità che pare avvolgere tutto (vedasi la Carta del Seminario allegata). Il merito di questa dinamica, che speriamo contagi tutti i territori, è senz’altro, di base, di questi ragazzi. Ma sono convinta che alcuni fattori organizzativi abbiano influito positivamente e meritino di essere citati e condivisi (e replicati, se volete): essersi messi veramente (non per finta) al servizio di questi giovani delegati, prendendo dei rischi; aver lanciato loro la sfida di essere operativi prima, durante e dopo l’evento, puntando alla costanza; aver mescolato ai lavori momenti di estrema bellezza, non solo architettonica, ma anche musicale, teatrale, spirituale, capaci di connettere mente e cuore; aver orientato l’appuntamento del “Seminario di Palermo per la creazione di una rete di giovani italiani nel mondo” verso un orizzonte di pragmatismo, di valori alti, di consapevolezza dei limiti, ma anche degli spazi del possibile. Questi delegati hanno già dato prova di volerli occupare, questi spazi, con creatività e dolcezza, ma molta determinazione. Come ci mostrano Angelita Papa e Michela di Marco, delegate di Toronto, che hanno deciso di fare un gesto potente, il 2 giugno, festa della Repubblica. Quello di piantare un albero, a parziale recupero dell’impatto ambientale dato dal loro viaggio a Palermo, ma anche a significare che le radici italiane vanno coltivate perché i rami e i frutti crescano rigogliosi. Sentirsi politici al servizio di questi giovani virgulti (è il caso di dirlo) è una chiamata forte per me, ma spero anche per tutti noi. Laddove la gioventù per fattori demografici non è più un’onda che travolge chi precede, occorre ripensarla come un Bene Comune.

 

Carta del Seminario di Palermo
Siamo giovani italiani fuori dall’Italia, ciascuno di noi porta con sé associazioni e comunità da cui tornare e a cui raccontare l’esperienza del Seminario di Palermo.
Racconteremo che è proprio vero che gli italiani sono dappertutto, che abbiamo riso e riflettuto insieme di come alcuni tratti siano indissociabili da noi, a qualsiasi latitudine: siamo quello che mangiamo, ci riconoscono per come vestiamo, ma anche per la voglia di darsi da fare, con creatività e olio di gomito. Siamo quelli che si chiedono perché il mondo, a partire dalle istituzioni del nostro Paese, non potrebbe funzionare molto meglio, e che non rinunciano a mescolare l’energia con la rabbia per alimentare la speranza di cambiare non qualcosa, ma tutto.
Tanti di noi hanno vissuto in più paesi e città, i nostri genitori e i nostri nonni vengono da regioni diverse dell’Italia e del mondo, anche sforzandoci non riusciamo a vedere questa diversità come un problema, perché per noi, da sempre, è una ricchezza. Forse a volte complicata da gestire, nello sguardo di altri siamo “Altro” anche quando abbiamo la stessa residenza e lo stesso passaporto, ma ora sappiamo che questo spazio “altro” possiamo abitarlo insieme.
Renderlo pieno di progetti
Per appagare il nostro bisogno di cultura, di lavoro, di vicinanza radicata e ideale con l’Italia.
Renderlo aperto ad un nuovo modo di pensare
Perché la mobilità non sia superficialità e la globalità mancanza di generosità per il luogo in cui si vive, ma perché si creino nuovi modi per noi di agire ed essere cittadini del mondo, ed al tempo stesso riconoscere e valorizzare le tante forze culturali, associative e professionali italiane.
Renderlo pieno di relazioni
Perché, in questi giorni, la “Rete dei Giovani Italiani nel Mondo” è stata vissuta con passione e bellezza, e ci ha resi diversi da quando siamo arrivati, perché ormai, per sempre, parte della vita gli uni degli altri, noi, e le nostre comunità.
Renderlo concreto e condiviso
Perché la “Rete dei Giovani Italiani nel mondo”, che raccoglie persone con bagagli carichi di esperienze uniche, può dare un forte contributo non solo nei paesi di provenienza ma anche al sistema Italia.
Vogliamo impegnarci per accorciare le distanze tra gli italiani fuori dall’Italia e le istituzioni, con azioni concrete e con l’obiettivo di rendere protagonisti tutti i giovani.