Rozane Mazzer e Jérome Pigeon, lei brasiliana lui francese, entrambi bellissimi, s’inventarono negli anni novanta la Favela Chic. Rue Oberkampf si trasformò di colpo grazie anche ad altri locali come le Charbon in un formicolìo di talenti, pullulare di scene musicali e culturali, centro della movida parisienne nonostante i colpi della recessione economica e la fine dell’era Mitterand. Una piccola bodega brasiliana in cui si poteva incontrare Jean Nouvel o Monica Bellucci, una pornostar, dj, fumettari noti, modelle, o i pazzi redattori di una rivista Paso Doble, al cuore dell’underground della capitale. Una palestra per molti giovani artisti come il nostro Don Pasta, per esempio, che proprio qui faceva le sue prime prove di dj set. La Favela Chic nelle guide turistiche di Parigi costituiva per gli italiani la tappa obbligata delle nuits bohèmiennes anche quando si trasferì in Rue Faubourg du Temple.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti…
Certo ma come se ci fosse un disegno a dare un senso a tutti i rivoli d’acqua, torrenti, fiumi in piena che erano i nostri progetti. Ci siamo accorti solo dopo, con il tempo che la Favela Chic non era un’impresa ma una vera e propria scuola di pensiero.
Qual è la differenza ?
Una scuola si preoccupa essenzialmente di trasmettere qualcosa d’importante, sempre nel nome della passione, a tutti quelli che sono coinvolti senza avere come prima preoccupazione quella di fare benefici, utili. La squadra cresceva giorno dopo giorno fino a diventare una vera tribù. Dietro al bancone c’erano musicisti, traduttori, dj, pittori, e ai fornelli veri artisti della cucina brasiliana e francese come Carlos. C’era il piacere di stare insieme e di produrre delle vere performance in modo naturale, fino a notte fonda. L’esperienza della Favela Chic era quella di una famiglia allargata, e per certi versi era normale che tanti fratelli, cugini, figliocci finissero con il creare altrove storie simili anche se non avremmo mai potuto immaginarlo.
Facciamo un passo indietro. Nel 1990 tu arrivi in Francia e immediatamente cominci le tue ricerche sulle origini italiane della tua famiglia.
Ero venuta via con quella che fu una vera e propria vague di giovani delusi dalla politica. C’era stato il suffragio universale, nel dicembre dell’89, dopo la dittatura, le prime elezioni democratiche dopo trent’anni, e la sconfitta di Lula per molti di noi significava rinunciare ai sogni. Un milione di giovani brasiliani che lasciavano il paese per cercare altrove l’avvenire.
Era chiaro dal principio che per me si trattava di tornare nel mio continente. Ecco allora che grazie anche alle ricerche e ai documenti raccolti da un cugino, dalle parti di Treviso ho cominciato a telefonare a istituzioni, organi competenti, per raccogliere tutta la documentazione necessaria per ottenere la nazionalità italiana, che era quella dei miei bisnonni, Mazzer. L’anagrafe non poteva farci granché perché erano andati via dall’Italia prima dell’Unità e dunque i soli archivi in cui si potesse trovare qualcosa erano quelli parrocchiali.
E ti sei messa a bussare alle porte delle chiese?
Ogni mattina mi facevo un piano, delle parrocchie in cui andare, non parlavo italiano, solo francese quindi cercavo di farmi capire come potevo, e c’era sempre qualche curato bienveillant che cercava di darmi una mano come quello che era stato missionario in Amazzonia; era felice di incontrarmi, mi mostrava le foto del Brasile, parlava portoghese. Insomma immaginati una ragazza di ventitré anni sola che ogni giorno visita decine di chiese senza però trovare le tracce del suo super avo, Giuseppe Mazzer. Avevo perso ogni speranza, me ne stavo per andare quando…
Miracolo!
In un certo senso sì, mi mandano da un esperto dell’emigrazione italiana nel mondo, che faceva parte della curia episcopale di Treviso, aveva pubblicato anche dei libri; a partire da quale regione del Brasile si stesse parlando era in grado di dirti quale comunità italiana vi avesse messo radici; era in grado di ricostruire i flussi migratori per esempio a partire da un piatto cucinato in un certo modo, da una ricetta che non poteva che appartenere a un paese ben preciso. E quando gli ho mostrato i documenti di cui ero in possesso lui serafico mi dice: “ma tu ce li hai già i documenti di cui hai bisogno! Ci sono gli atti del matrimonio e bastano quelli”. Come spesso mi accade nella vita, alla fine cercavo qualcosa che di fatto avevo addosso e non sapevo di possedere.
La tua vita di fatto era nata nel segno del nomadismo. Dopo la Francia il Brasile poi l’Inghilterra e di nuovo Parigi. La Favela Chic era un luogo in cui si poteva mangiare cuisine du monde ma in cui si ascoltavano spesso canzoni italiane, Mina Celentano.
Per la musica lo sai era Jérome il genio di casa, e conosci il suo amore per Mina. Sex Pistols e Mina, insieme a tutte le chicche che passava nei dj set in grado di farti capire all’improvviso la bellezza di note o interpreti altrimenti dimenticati insieme a tutti i nuovi sounds che era in grado di cogliere e trasmettere in sala. Del resto un bel po’ di album, quattro compilation, Postonove perfino in vinile, che all’epoca nessuno ne faceva, hanno visto la luce lungo tutta l’avventura. Sono diventati con il tempo dei veri oggetti cult! La mia canzone italiana preferita, indubbiamente, ti amo, ti amo ti, amo (la canticchia) di Umberto Tozzi. Sul lato musicale vorrei però ricordare la nostra produzione di Seu Jorge (da pronunciare say-oo zhor-zhee); quello sì che è stato davvero un miracolo a cui abbiamo partecipato. Lo avevamo incontrato nel 1999; figlio delle favela, praticamente à la rue, dormiva davanti a un teatro e con il tempo, diventato amico della troupe aveva cominciato a mostrare tutte le sue doti di chansonnier e quello fu amore a prima vista. Lo portammo all’Elysée Montmartre e fu davvero un trionfo, lui solo alla chitarra davanti a un migliaio di spettatori. Viene notato nel mondo del cinema grazie a una sua partecipazione a City of God e nel film di Wes Anderson The Life Aquatic with Steve Zissou e in quello stesso periodo si crearono delle occasioni per finalmente realizzare un video clip d’autore. Mancava solo l’argent, l’argent. Facemmo allora una mega colletta per produrre un suo videoclip e prendendo praticamente tutta la cassa delle serate lo raggiungemmo per finanziarlo, cash. Tutto questo per amore dell’arte senza chiedere nulla in cambio.
Del resto Rozanne è così, lì sta la sua forza. La sua vita è tra un prima della Favela Chic e un dopo. La Favela Chic è il passato. Il presente è una miriade di isole tra Francia, Inghilterra e Brasile, un arcipelago in cui inventarsi nuove storie, nuovi progetti. Mai stare ferma, esattamente come i suoi avi italiani, e come loro nel segno della bellezza, che si sa, quella vera non fa sconti a nessuno e soprattutto a nessuno fa i conti in tasca.