Forum aperto
Quasi spalancato
di Patrizia Molteni
In novembre si è svolto il primo Forum aperto che ha riunito associazioni di Italia in rete e candidati al Comites provenienti anche loro dal tessuto associativo parigino. Ma cos’è esattamente un Forum aperto? E com’è andato?
DIARIO DI UNA GIORNATA BELLISSIMA
Ore 11 arrivo dei partecipanti, caffè, dolcetti italiani arrivati dall’Italia con la nostra “facilitatrice gastronomica”, chiacchere, ritrovarsi per alcuni, conoscersi per altri. Sembra un Forum come gli altri, ma non ci sono banchetti informativi, non c’è il pubblico, decorazioni minimaliste, niente concerti e intrattenimenti organizzati per i presenti, niente stress sul numero dei visitatori. Le regole del Forum aperto parlano chiare: “Chiunque venga è la persona giusta”, “Qualunque cosa accada è l’unica che poteva accadere”, “Quando comincia è il momento giusto”, “Quando è finita … è finita”. Si aggiunge la “Regola dei due piedi”: nessuno ci lega alla sedia, se vogliamo andare a curiosare o portare il nostro contributo altrove siamo i benvenuti. L’evento siamo noi, tutti insieme, nessuno è superiore/inferiore a nessuno anche se nella vita ci sono rapporti gerarchici diversi, all’interno del forum siamo tutti uguali, con pari opportunità di esprimersi e di essere ascoltati. Ci accompagna Maria Chiara Prodi, coach provetta, sotto gli occhi di Marianella Sclavi, esperta suprema di intelligenza collettiva, risoluzione di conflitti, ascolto attivo, rigenerazione territoriale e tanto altro (lei sì che era in qualche modo “superiore” anche se nulla è trapelato dal suo atteggiamento, dolce, accogliente, semplice ed efficace).
Si comincia con un’attività per rompere il ghiaccio: ognuno scrive il proprio nome su un pezzo di carta che accartoccia e butta per terra, poi ognuno raccatta un pezzo di carta e presenta la persona che corrisponde al nome. Alla fine le coppie di presentatori-presentati (che nel frattempo hanno socializzato) si scattano un selfie: eccoli immortalati in questo atto di apertura verso l’Altro.
Entriamo in tema. Viene posta la domanda: Come si fa rete? Ognuno scrive su uno o più post-it, gli argomenti che potrebbero aiutarci ad arrivare ad una soluzione concreta; questi pezzettini di carta pieni di idee, vengono attaccati dai pensatori stessi su una lavagna. Si vota, così si dice, anche se alla fine del voto non ci sono vincitori e vinti. Serve semplicemente a raggruppare le idee o i temi in modo da creare gruppi di interesse comune. Il tempo è limitato, si cercano di evitare voli pindarici e fuori-tema perché, altra regola del Forum aperto, è che la nostra libertà di parola è limitata da quella degli altri. Nel frattempo la facilitatrice visuale, Stefania Chieffi (giovane grafica di Focus in, Italia in Rete etc. etc.) traduce in immagini le discussioni in corso. Continuerà questo suo lavoro di traduzione all’interno dei gruppi. La restituzione agli altri gruppi è accompagnata dalla traduzione in immagini, tutto molto schematico, perché l’idea è arrivare all’essenziale.
Dopo il primo giro si affinano gli argomenti e i gruppi e si ricomincia. Potrebbe durare giorni, noi ci siamo limitati a due giri. Se questo racconto vi è sembrato un tour de force, a noi non è passato neanche per la testa. Atmosfera distesa, collaborativa, seria con leggerezza, leggera con impegno, cibo e bevande buoni e sani, preparati dalla facilitatrice di convivialità, Dorina Burlacu, venuta appositamente dall’Italia per farci star bene. Le conclusioni di tutti anche i più scettici che erano venuti “per vedere”, sono state varianti di “Una giornata bellissima”.
FOCUS SU GRUPPI, IDEE E PROPOSTE
Il Forum aperto siamo noi. Gruppi, idee e proposte rispecchiano la platea dei partecipanti. Ci fossero state persone diverse, anche i risultati sarebbero stati diversi. Ma se vi siete persi questa prima, non disperate, avrete occasione di partecipare al prossimo Forum aperto in febbraio (data ancora da definire) al Consolato Generale d’Italia.
La prima sessione ha visto in campo quattro gruppi, il primo, infelicemente chiamato “hub” (anglicismo che innervosisce i francesi, italiani in Francia e gli “-anta”) che discuteva di spazi fisici e virtuali in cui fare rete in modo transgenerazionale; il secondo, “Eventi che funzionano” ha cercato di capire cosa mobilita i cittadini italiani e come può essere migliorata la partecipazione; il terzo “Rapporti con il Consolato” che, un po’ come i genitori, incute rispetto, suscitano affetto, stima, gratitudine ma è sempre in prima linea per le critiche, fondate o meno; il quarto “Eventi multidisciplinari”.
ESCI DA QUESTA BOLLA
Denominatore comune: l’uscire dalla bolla in cui ciascuno a titolo individuale e associativo si trova, in particolare i giovani. Cito Oleg Sisi, nuovo presidente del Comites, che a sua volta cita l’Ambasciatore di Londra. Da qualche anno non si tratta più di comunità ma di “compresenza”: “Questi italiani vivono e lavorano nello stesso territorio, i loro percorsi talvolta si sfiorano, ma in realtà non s’incontrano perché non sono più motivati a cercarsi, a vivere o creare una comunità italiana all’estero”. Ecco che allora il solo fatto di averli portati ad uscire dalla bolla, a non confinarsi alla propria associazione, spesso legata ad affinità professionali (i professionisti, i ricercatori, i professori), corporative (artisti), educative (genitori, studenti) e via dicendo, apre a nuove collaborazioni e al considerare il far rete, per dirla con il Presidente Mattarella, “fare comunità” come un mezzo per raggiungere il fine di essere cittadini attivi, in Francia, aperti all’Europa e al mondo ma anche al nostro vicino di banco che magari si occupa di teatro e non di scuola ma che può intervenire su un progetto comune nella “mia” associazione. Non a caso una delle proposte è stato il “trans”, in tutte le accezioni (meno quella sessuale): transculturale, trasversale, transgenerazionale. Abbattiamo i muri e facciamo progetti con altre associazioni, creiamo un luogo (il famoso “hub” o incubatore) che possa essere un luogo di incontro per tutti e servire in particolare a far incontrare nuovi arrivati, vecchia guardia e italo-discendenti, uno spazio anche virtuale che possa servire da “incubatore” di progetti. “Il contatto relazionale con la realtà che produce frutti progettuali” come ha sottolineato Maria Chiara Prodi. Sì ma che tipo di contatto relazionale? Il gruppo “hub” ha riflettuto proprio su questo. Invece di partire dalle conoscenze acquisite, si potrebbe partire dai bisogni, in modo da interloquire non solo con le associazioni che conosciamo da anni ma anche con quelle che hanno i nostri stessi bisogni, che cercano, per un progetto simile, partner che possano collaborare in una logica di “incontro-scambio-collaborazione, in cui, a posteriori, le relazioni umane troveranno un ambiente favorevole, positivo e propositivo per sviluppare quei legami necessari allo sviluppo della rete”. Dopo l’esperienza del Forum aperto, che in gran parte ha funzionato secondo gli stessi principi, viene da pensare che potrebbe essere una bellissima cosa estendere queste pratiche a tutta la comunità. Il tutto è riuscire a uscire dalla gabbia di pregiudizi, preconcetti, resistenze che covano in ogni essere umano. Tentar non nuoce.
UN’INSOLATI DOMENICA IN CAMPAGNA
In questo contesto va vista anche la partecipazione di candidati (ora eletti) del Comites, cosa che aveva inizialmente destato un certo sospetto. Il Comites, questo sconosciuto, non ha mai (e spesso a torto) mobilitato le folle. Ma è un organo di rappresentanza che può farsi portavoce delle esigenze dei cittadini italiani presso le Istituzioni. A memoria di donna, non è mai successo che i candidati al Comites abbiano incontrato le associazioni in questa modalità. Si fa campagna, si va alle feste delle associazioni a bere e mangiare insieme (all’epoca si poteva) e si mandavano i famosi “santini” con la propria faccia e uno slogan elettorale. Il fatto che i candidati siano venuti per capire e non per proporre, per fare progetti insieme, per ascoltare gli ex-consiglieri presenti e le associazioni di più lunga vita, che abbiano proposto di fare una formazione per eletti (in presenza della Console Irene Castagnoli), è già un grande risultato. Che lo facciano di nuovo da eletti, una grande promessa.
Un’altra costatazione che può controbilanciare i difetti che alcuni attribuiscono agli expat (individualismo, chiusura verso cose e persone che a priori scartano come boomerate, mancanza di conoscenza e forse di curiosità verso l’esistente, il già fatto) è il fatto che non si aspettano niente e che anzi vorrebbero far loro qualcosa per l’Italia, creare ponti con le Consulte regionali per esempio, fare progetti che servano anche per la loro regione o la loro città, mettere a disposizione le loro competenze, aiutare le istituzioni ad aiutare noi, oppure aiutare i nuovi arrivanti, non necessariamente giovani, ad integrarsi e partecipare attivamente alla vita sociale e democratica del paese.
Io non vedo l’ora di fare il secondo Forum aperto.