di Cinzia Crosali
Cosa c’è di peggio della sofferenza provocata dallo sfruttamento umano? Per i lavoratori c’è qualcosa di peggio, ed è la condizione di essere diventati completamente inutili. E’ questa la tesi di Yuval Noah Harari che, nel libro 2l leçons pour le xxiesiècle [1], analizza cause ed effetti degli sconvolgimenti sociali del nostro secolo e le poste in gioco che questi implicano. Ci mostra come i progressi dell’informatica e delle biotecnologie possono avere un impatto sulla società, con il rischio di dittature digitali create dagli algoritmi del Big Data. Secondo i prognostici più pessimisti descritti da Y. N. Harari, l’élite del futuro non solo non avrà più bisogno di sfruttare il popolo, ma non avrà più bisogno di lui. Le vere minacce e i veri concorrenti dei lavoratori, non saranno i migranti, che sono mano d’opera a buon mercato, ma gli algoritmi informatici, che non hanno diritti sociali né rivendicazioni salariali. A questo punto, qualsiasi rivolta è persa in partenza, perché: «è più difficile lottare contro l’insignificanza che contro lo sfruttamento[2]».
Harari prevede la comparsa di una classe sociale completamente inutile che avrà la stessa sorte che ha avuto il cavallo in tempi più lontani, conoscerà cioè: «non tanto la sorte dei vetturini del XIX secolo, riconvertiti in autisti di taxi, ma quella dei cavalli, esclusi dal mercato del lavoro[3] ». L’idea che la robotica e l’intelligenza artificiale possano cambiare completamente il mercato del lavoro non è nuova. Ma nessuno può dire se queste metamorfosi strutturali della società produrranno una massa inquietante di umanità inutile o se, come è successo dopo ogni rivoluzione tecnologica, certi mestieri spariranno e altri saranno creati. Le macchine e l’automatizzazione hanno già (e spesso per fortuna) preso il posto dell’uomo in vari settori, come quelli dell’agricoltura o dell’industria e questo grazie alle migliori performancenelle mansioni manuali. La nuova sfida è rappresentata oggi dalla concorrenza introdotta dall’intelligenza artificiale (ia), nelle attività cognitive.
L’idea è che l’iapermetterebbe di superare la nostra intelligenza, anche in funzioni tipicamente umane, come l’intuito,ridotto ad una capacità di riconoscere dei segnali e delle forme, cioè a un’operazione che un buon programma informatico farebbe con esattezza. «Se le emozioni e i desideri non sono che algoritmi biochimici, non c’è nessuna ragione che i computer non possano decifrare questi algoritmi, e farlo meglio di un qualsiasiHomo sapiens [4] », scrive Harari. Una iapotrebbe, con dei sensori efficaci, riconoscere le configurazioni biochimiche comportamentali analizzando le espressioni facciali, il tono della voce, i movimenti delle mani e gli odori del corpo. Questo permette ad Harari di prevedere, non senza inquietudine, che la confluenza delle tecnologie dell’informazione e delle biotecnologie permetterà ai computer di superare le performancedi avvocati, giudici, banchieri, radiologi, psichiatri … La minaccia di perdere il lavoro non concernerebbe quindi più soltanto i lavoratori manuali!
I programmi informatici sono diventati i nuovi oracoli che predicono i successi o gli insuccessi delle operazioni finanziarie o commerciali, delle previsioni di budget di un’impresa o di un governo, così come quelle elettorali e politiche di un Paese. E’ legittimo chiedersi se il Big Datanon sia il nuovo Oppio dei popoli. Una sorta di Dio al quale ci si rivolge per avere risposta ai dubbi dell’esistenza. Il digitale è l’antidoto moderno all’angoscia? Il Big Data– un nome che evoca le fiction fosche di Georges Orwell-, vorrebbe catturare, con i suoi algoritmi sofisticati, i dati individuali dei modi di godere umani, per controllarli, influenzarli, e centralizzarli in un unico programma onnivoyeur e onnisciente. L’obiettivo di questa potente e gigantesca riserva di memoria e di dati, sarebbe quello diarmonizzare le differenze e di dare a tutti risposte infallibili, producendo il massimo di felicità per i consumatori e soprattutto per i produttori.
In un’altra delle sue opere Y. N.Harari aveva già sottolineato i paradossi della felicità e aveva scritto : «Nonostante i progressi eccezionali degli ultimissimi decenni non possiamo dire che i nostri contemporanei siano molto più soddisfattidei loro antenati. E’ un brutto segno: nonostante l’aumento della prosperità, del comforte della sicurezza il tasso di suicidio nel mondo sviluppato è molto più elevato che nelle società tradizionali[5]».
Le organizzazioni economiche fondate sul digitale promuovono un’idea della felicità semplificata e codificata. Essa è basata su quel binomio produzione-consumo che Lacan aveva già denunciato negli anni ’70 attraverso la formulazione del discorso capitalista. Nonostante oggi sia a tutti evidente che questo binomio non produca un supplemento di felicità, la sua accelerazione prosegue a ritmo forsennato. Gli algoritmi che regolano la politica del gafa(Google, Apple, Facebook et Amazon) non sanno decifrare il linguaggio dell’inconscio, refrattario a qualsiasi riduzione digitale e alle codifiche. L’algoritmo dell’economia ideale vorrebbe azzerare lo spazio e il tempo tra il bisogno e la sua soddisfazione. Funziona come il marito della Bella Macellaia, di cui parla Freud, che si precipita a portare alla moglie il caviale che lei desiderava tanto, mentre l’obiettivo della moglie è proprio quello di mantenere quel desiderio insoddisfatto.
Qual è il destino della psicanalisi in questo universo digitale? Un programma informatico ha sicuramente più memoria di qualsiasi psicoanalista, esso sa organizzare meglio le informazioni, e grazie a dei sensori video e degli elettrodi multipli, può simultaneamente riconoscere le espressioni del viso, del corpo e le intonazioni della voce, «sa» un sacco di cose che l’uomo non riesce a memorizzare. Ma tutto il sapere di questo potente computer non ha niente a che vedere con il sapere dell’inconscio e del corpo parlante, né con il sapere che è in gioco durante un’analisi. Lacan diceva nel suo Seminario Encore: « Che un computer pensi, lo ammetto volentieri. Ma che sappia, chi potrà mai dirlo?[6]».
Non sappiamo come la rivoluzione digitale e i progressi delle biotecnologie potranno manipolare i corpi. Y. N.Harari nel libro « 21 leçons pour lexxiesiècle », sottolinea il divario tra il legame sociale online, cioè virtuale, e quello off-line, fatto con il proprio corpo. A suo parere la tecnologia ci ha allontanato dal nostro corpo poiché, dice, « E’ sempre più facile parlare con mio cugino in Svizzera, ma è diventato difficile parlare con mio marito a colazione perché preferisce guardare lo smartphone[7]». Al tempo stesso prevede un pericolo maggiore, quello di un abbattimentoinquietante della frontiera tra il corpo e computer : «I sensori biometrici e le interfacce dirette cervello-computer intendono erodere la frontiera tra la macchina e il corpo organico ed insinuarsi letteralmente nella nostra pelle. Quando i giganti della High-Tech avranno preso atto dell’esistenza del corpo umano, potranno manipolare il nostro corpo allo stesso modo in cui manipolano i nostri occhi, le nostre dita e le nostre carte di credito. I bei tempi in cui online/offlineerano separati potrebbe mancarci[8] ». Da queste proiezioni per il prossimo futuro, nascono scenari da fantascienza. Nulla ci autorizza a negare questa possibilità ma una domanda si impone: il corpo al quale Harari fa riferimento è lo stesso di cui si occupa la psicanalisi? No, non si tratta dello stesso corpo. Harari parla del corpo organico, la psicanalisi si occupa del corpo parlante, del parlessere, del corpo che gode. La scienza potrà un giorno impiantare delle pulci elettroniche sotto la pelle degli uomini e mettere loro a disposizione una quantità di dati altrimenti impossibili da ricordare, sarà perfino possibile produrre effetti sensoriali, sensazioni di piacere o di eccitazione, oppure produrre il sonno o la veglia prolungati. Degli stimolatori elettronici potranno intervenire sull’azione delle sinapsi e dei neurotrasmettitori, modificare l’umore, sostituire antidepressivi e ansiolitici. Questo scenario, per il momento ancora fantastico ma non improbabile, non annulla però l’esistenza dell’inconscio. Gli esperimenti sensoriali prodotti dalle biotecnologie dovranno sempre passare attraverso il filtro delle parole e del discorso per essere soggettivizzati. Gli psicoanalisti si interessano a quello che farà l’individuo di tutte queste nuove esperienze, a come ne parlerà, a come nominerà quello che prova quando le sue funzioni cognitive saranno potenziate da elettrodi impiantati nel suo corpo. Di fronte agli sconvolgimenti radicali della società la via clinica ed etica della psicanalisi punta alla singolarità degli esseri umani, considerati come esseri che parlano, amano, desiderano, soffrono e gioiscono in forme e dimensioni che sfuggono alle codificazioni e alle digitalizzazioni. Finché i sogni diurni e notturni resteranno una produzione dell’inconscio e non diventeranno il risultato di un programma informatico computerizzato, ci sarà ancora uno spazio di libertà e di speranza per il genere umano.
[1]Harari Y. N., « 21 leçons pour le XXIème siècle », Paris, Albin Michel, 2018.
[2]Ibid., p. 27.
[3]Ibid., p. 48.
[4]Ibid., p. 39.
[5]Ibid., p. 40.
[6]Lacan J., Il Seminario,libro xx, Ancora, Einaudi Torino 1983, p. 96.
[7]Harari Y. N., « 21 leçons pour le siècle », op. cit., p. 106.
[8]Harari Y. N., « 21 leçons pour le siècle », op. cit., p. 110.