Mattarella e le formiche con le ali

di Felice Sghimbescio

Caro Sergio Presidente Mattarello ti scrivo mentre sei usciere dal Quirinale, esprimendoti tutto il mio dispiacimento che presto ci devi lasciare e ritirarti a vita quasi normale, da comune normale. Magari, caro Sergio, presto ci ritroveremo a Palermo per un caffè che anche io sono abbastanza comune seppure non proprio normale. Ora, caro Sergio presidente usciere, su questa soglia dell’anno nuovo ci viene la malinconia per le tante cose vissute nel vecchio anno e la timida speranza per un nuovo anno. E si, caro Sergio, l’anno vecchio se ne va e un altro anno ci viene a molestare. E dobbiamo ancora capire come l’impasto del 2022, terzo anno dell’era pandemonica, lieviterà. Che per ogni cosa è problema di impasto e di lievito. E tu ne sai qualcosa visto hai impastato i governi più strambi della nostra curiosa Repubblica. Hai stato il panettiere, il funambolo, il trapezista, il domatore di porcelli più coraggioso di questi tempi chiacchieroni, accollandoti in sette anni i più bizzarri politichi che il popolo italiano abbia mai eletto. Ma inzomma, caro Sergio, alla fine, tu ci avevi l’arma segreta del fornaio vecchia scuola: il lievito madre scudocrociato che è più miracoloso e genuino di quello Paneangelo, anche se meno istantaneo. Che in fondo, come dice la signora Santina della Panetteria Sacro Cuore di via Casalofio, ogni farina ci ha la sua lievitazione e chi ha seminato raccoglierà. D’altronde la signora Santina parla da dietro il suo monumentale bancone di marmo come un mezzo busto di Santa sull’altare, distribuendo con la stessa severa passione filoncini, massime e pagnottelle all’olio. Di certo non conosci la Signora Santina, altrimenti l’avresti già insignificata di Croce di Cavaliera al Merito! Con l’occhio strabico al soffitto e l’altro chissà dove, batte le mani sul bancone e fra nuvole di farina tuona: Mafalda o Rimacinato? E se hai voglia d’una rosetta non hai il coraggio di contraddirla: lei sa che pane ti ci vuole, pensi, e ti becchi una Mafalda accompagnata da due parole più o meno evangeliche della corpulenta panettiera in odor di santità. Eppure nessuno ha mai gridato al miracolo vedendola sudare, anche se il sudore di Santa è certezza di Grazia, si dice. Vabbè, quando vieni ti ci porto.

Ora caro Sergio, mentre il nuovo anno si fa avanti e le immagini di quello vecchio si scolorano nel nostro cervello, volevo sottoporti una riflessione di portata universale e forse un po’ vaga come le stelle: perché tutti si sentono sempre in diritto di sputare all’anno che se ne va? Perché c’è sempre una furia a liberarsi del vecchio anno, come cosa da buttarsi alle spalle e tirare lo sciacquone. È possibile che non ci sia mai qualche piccola grazitudine per ciò che lasciamo? Niente, ma proprio niente da ricordare con un sorriso? Da trattenere dentro con un grazie? Di ogni anno, di ogni giorno dovremmo poter dire grazie, fermare la fretta che ci assedia, la frenesia d’essere più simpatici e furbi. Che bene e male, fortuna o scalogna camminano avanti e indietro senza sosta e il male di ieri domani ti apparisce bene, il bene di oggi domani non lo ricorderai e ieri non lo immaginavi nemmeno possibile. A meno che tu non trattenga qualche briciola di grazitudine dentro di te. Che poi la felicità passa sempre da qualche pena e da tanti smarrimenti fra le vie del mondo. Così eccoti qui il mio calendario di grazitudini per l’anno appena trascorso,  certamente molto più insignificante del tuo:

GENNAIO

Grazie per la neve sul cappello della mia fidanzata che solo per questo mi ha dato un bacio un po’ bagnato.

FEBBRAIO

C’è una cosa che non ho capito perché – non lo sapevo – dovevo capirla dopo. Donald Tramp si ha eclissato dalli schermi e l’aria in giro è più fine.

MARZO

Grazie per le formiche che piovevano dal tetto, che è bastato parlarci per farle sgombrare o forse hanno solo trovato qualcosa di meglio da fare.

APRILE

Grazie per Filippo che è guarito da un virus testardo, anche se le formiche sono tornate a cascare sul letto. Per loro fortuna sul mio copriletto c’è stampato un bel campo di fiori e si trovavano proprio a loro agio. 

MAGGIO

A Gaza non piovevano formiche ma bombe. Ci vuole fiducia e grazitudine per chi non s’arrende e crede nella pace. È sempre meglio che dire “così va il mondo”.

GIUGNO

Grazie che il lavoro mi ha piuttosto tartassato anche se il guadagno lo incasserò l’anno prossimo. Il cielo ha quel colore! 

LUGLIO

Il primo bagno a mare. Una sconosciuta sulla spiaggia chissà perché mi ha baciato e la mia fidanzata mi ha dato un colpo di ombrellone in testa: mi ama ancora! Che bernoccolo!

AGOSTO

Mi ho molto lamentato del caldo e del lavoro asfissiante, ma via Casalofio non è Kabul. Il bernoccolo in testa si ha sgonfiato come le certezze degli esportatori di democrazia.

SETTEMBRE

Miracolo, le formiche hanno messo le ali! Magari voleranno da qualche altra parte. Quasi quasi mi dispiace.

OTTOBRE

Ho capito quella cosa che non avevo capito a febbraio, ma non la racconterò. Uno sconosciuto, chissà perché, mi ha baciato alla fermata dell’autobus. La mascherina chirurgica non scoraggia i più intraprendenti.

NOVEMBRE

Mai avuta una torta di compleanno così! Che tutta via Casalofio si ha riunito davanti al mio sottoscala a ingozzarsi. Questa le formiche se la sono persa.

DICEMBRE

Patrick Zaki è libero e la mia testa si ha alleggerito. A Natale abbiamo acceso una candela nel sottoscala e l’abbiamo guardata.

Così caro Sergio Mattarello usciere Presidente, anche se penzerai che in fondo questa lettera non ci ha ne capo ne coda, mandami la tua risposta.

E voi lettrici e lettori di questa sconclusionata rubrica potreste inviarmi tutte le vostra grazitudini dell’anno appena trascorso e anche quelle che in anticipo vorreste fare al nuovo anno, alla vita o a chi volete voi. Magari potremmo tutti insieme averci la grazitudine di una nuova Presidente donna. È sempre più salutare credere nei sogni che dire “così va il mondo”. Anche le formiche prima o poi mettono le ali.

E sono Felice che vi saluta dal suo copriletto fiorito.