Planimetria di una famiglia felice
di Patrizia Molteni
Sarà il confino, ma da qualche anno sono usciti diversi libri che raccontano storie, spesso autobiografiche, descrivendo le case, due per tutti: Il libro delle case di Andrea Bajani e Le case delle madri di Daniele Petruccioli, entrambi candidati negli ultimi due anni al Premio Strega. Ma quando l’autrice è la figlia di Renzo Piano, architetto famosissimo in Francia, dal progetto del Centre Pompidou in poi, quello che ha offerto alla città di Genova il progetto per la ricostruzione del Ponte Morandi, sembra evidente che si raccontino case e spazi pubblici.
Lia Piano, terzogenita di Renzo e direttrice dei programmi editoriali della Fondazione Renzo Piano, è al suo primo libro. Nella storia lei è “Nana”, sette anni, la piccola della famiglia, che scompare nella vegetazione alta dell’immenso giardino e alla quale viene fabbricato un cappello porta-bandiera per vederla saltare e correre in quella giungla. Troppo facile sarebbe stato tagliare l’erba.
È la casa di una ricercata, ma mai raggiunta “normalità”: «Mio padre aveva poco meno di quarant’anni, mia madre appena più di trenta. In dieci anni erano riusciti a cambiare tre nazioni, festeggiando ogni trasloco con un figlio. A quel punto era venuto il momento di diventare una famiglia tradizionale, avevano comprato una vera casa e si erano imbarcati nella loro impresa: diventare normali.»
Una normalità ricercata ma sempre troppo lontana dai principi della famiglia che crede nella libertà, che attacca cartelli a ogni porta con scritto “Vietato vietare”, che non ama le barriere, che costruisce uno scaffale di 307 metri perché i libri devono essere in ogni stanza (a questo punto volevo proporre Renzo Piano come santo patrono dei librai). è una casa piena di urla, quelle della “Nana”, quelle dei fratelli e dell’istitutrice analfabeta, la calabrese Maria Concepita; è piena di canti, di stanze vuote dove corre libero il vento, di animali – cani, gatti, rane, pulcini, galline per il quale il padre progetta un pollaio multipiano.
A un certo punto fa capolino anche Italo Calvino: “Nana” deve leggere per la scuola la storia di un bambino che ha nascosto una pistola in un nido di ragni, omaggio evidente al Sentiero dei nidi di ragno dell’autore ligure. Ma è la caparbia e la sfrenata voglia di libertà, l’amore per la natura non domata dall’Uomo del Barone rampante a cui fa più pensare questo racconto giocoso e magico.
Genova e la sua lussuriante vegetazione, il mare. Come cantava Ivano Fossati “Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare”. Aspirante marinaio e costruttore di barche, il padre porta tutta l’allegra famiglia in barca: «Ma allora [Genova] esisteva davvero,» pensa la bambina, «non se l’erano inventata loro, come le città del nessun dove che mamma mi raccontava prima di dormire.