di Patrizia Molteni
La vergogna del governo italiano, noi esteritalici la conosciamo. Anche in tempi non lontanissimi i bunga bunga, le nipoti di Moubarak e le battute oscene del cavaliere ci avevano attirato l’ironia di francesi e non solo. Ma Berlusconi in fondo nuoceva solo all’interno delle frontiere italiane, fatto salvo di qualche sorrisino di compatimento lanciatogli da qualche sodale parlamentare a Bruxelles. Con il governo gialloverde invece c’è davvero da vergognarsi, innanzitutto perché non hanno la minima idea della politica e ancor meno delle relazioni internazionali. Peggio: viene da pensare che non siano mai usciti dai loro paesi natali o che l’abbiano fatto con i pacchetti turistici del ClubMed, identici nel mondo intero, tanta è la loro ignoranza delle culture straniere.
Oppure viene il dubbio che abbiano fatto un corso di assertività organizzato magari dalla Casaleggio che di lavaggio del cervello un po’ se ne intende. Da quando sono stati eletti ripetono il mantra del “noi non siamo l’ultima ruota del carro”, “noi non chiediamo l’elemosina all’Europa”, “non siamo servi di nessuno” e via così.
“Padroni a casa nostra”, ritornello della Lega, ma anche “Padroni del mondo”. Vero è che l’Europa ha un po’ lasciato sola l’Italia nell’accoglienza dei migranti, vero che la BCE può bocciare – come, per fortuna, ha fatto – la manovra finanziaria di un paese, vere tante cose, ma l’Europa è stata fatta da chi? L’Italia ha firmato dei trattati, ha partecipatio alla redazione delle regole fondanti dell’Unione, ha contribuito tra l’altro attraverso grandissimi pensatori, filosofi, economisti a partire da Altiero Spinelli. Il problema è questo: Salvini e Di Maio pensano che l’Italia sia cosa loro, non cosa pubblica. Come se in casa loro, volessero cambiare il colore delle pareti o i sanitari lasciati dal proprietario precedente o addirittura abbattere un muro portante, ovviamente senza rivolgersi ad un architetto perché nel magico mondo del web siamo tutti capaci di far tutto. Naturale che non si accetti il parere di altri. Non è così per la Res-pubblica perché ci sono le Costituzioni, le leggi, nazionali ed internazionali, organi di rappresentanza, elezioni partecipate che niente hanno a che vedere con la democrazia partecipativa in cui – tanto per fare un esempio recente – si salva il Comandante Salvini perché 52.417 utenti hanno cliccato su un pulsante, lo 0,11% degli aventi diritto al voto in Italia. D’altra parte un partito che candida a vicepremier Di Maio, “eletto” alle parlamentarie online da 490 cittadini, deve considerare le cifre del sondaggio salva-Salvini un successone.
Ma anche ammesso che questi personaggi rappresentino (ancora) l’Italia e che abbiano ragione a voler cambiare l’Europa, lo fa un trio composto da un premier che ha barato sui titoli di studio, e da due vicepremier che non sono nemmeno laureati? Cioè non c’è differenza tra Adenauer, De Gasperi, Simone Veil, Robert Schuman e questi tre? Un po’ di umiltà non farebbe male.
Lo Stato delle anime
Chi conosce la Francia sa che c’è una differenza fondamentale tra noi e loro, i francesi. Se in Italia lo Stato è stato svuotato di rappresentatività oltre che di strumenti per farlo funzionare (si vedano le riforme o gli ostacoli posti a certe categorie come i magistrati e i giornalisti), qui il concetto di Stato e di cosa pubblica c’è. Uno Stato di cui ogni cittadino si sente parte, che può contestare anche molto fortemente, ma che merita rispetto. Uno Stato che aiuta i suoi cittadini con strutture e fondi che in Italia ci sogniamo, che funziona – a volte con una lentezza amministrava un po’ snervante – e funziona per tutti, anche per le centinaia di migliaia di italiani che qui risiedono.
I dipendenti statali sono fieri di esserlo in nome di una causa che va dal salvare vite a mantenere l’ordine pubblico. Anche qua ci sono i fanatici e quelli che se ne approfittano (fa parte della natura umana) ma per tutti la divisa rappresenta uno stato, una funzione pubblica. Se Macron o il primo ministro si mettessero a girare con divise da poliziotti o pompieri si coprirebbero di ridicolo e si metterebbero contro tutti, perché la funzione per la quale sono stati eletti è altra. Sarebbe una presa in giro pensare che l’abito faccia il monaco.
In questo contesto vanno inseriti anche gli insulti tra Francia e Italia: dal “cinismo e irresponsabilità” di Macron, “che fa vomitare” (ha aggiunto il portavoce del governo francese in merito ai migranti lasciati al largo per settimane) al “Macron ha la sindrome del pene piccolo” di Manlio di Stefano, deputato 5Stelle. Roba che in entrambi i casi è entrata solo di recente a far parte dell’Alta Politica, e in cui l’attuale governo italiano mostra una volgarità inaudita. Alla Francia sono arrivate accuse senza capo né coda, come l’uscita di Di Battista sul franco africano e come questo mantenesse le ex colonie in stato di schiavitù e costringesse i migranti a partire. Provocazioni che intendono far vedere che noi siamo superiori ai francesi sia per forza (misurata a quanto pare in centimetri dell’organo maschile) sia per ribalderia egemonica. Uno stratagemma vecchio come il mondo: criticare gli altri per far belli se stessi, un modo come un altro per fare propaganda.
Lo dice la professoressa Muller (a fianco), nella lettera a S.E. l’Ambasciatrice: prima di dare lezioni al mondo, studiassero! Aggiungerei che il pensiero non nasce da generazione spontanea, si nutre di studio, incontri, letture. Si esprime e si trasmette attraverso il linguaggio. A linguaggio povero, corrisponde un pensiero povero. Ma chi è davvero povero rischia di essere il Paese.