Di Eloisa del Giudice
“… e quindi ci stavamo dicendo con tua madre che dopo la pensione ce ne potremmo andare. Su dai suoi, o dalle tue parti, o vicino a tuo fratello, non so. Insomma, lasciare Siena. Tanto, chi ci è rimasto qui?”
“…”
“Tutto bene?”
“… e quindi ci stavamo dicendo con tua madre che dopo la pensione ce ne potremmo andare. Su dai suoi, o dalle tue parti, o vicino a tuo fratello, non so. Insomma, lasciare Siena. Tanto, chi ci è rimasto qui?”
“…”
“Tutto bene?”
Ma certo. Sono seguiti qualche aneddoto, sospiri di afflizione postelettorale, informazioni pratiche sul mio matrimonio imminente, questo cielo grigio di Parigi che non si apre mai, la salute, le riunioni, cos’hai letto di recente.
Ma certo. A Siena non è rimasto granché, non è rimasto gran chi, i cinema si sono ridotti a tre, i bar chiudono uno dopo l’altro, le librerie rimpiccioliscono, poi migrano, poi muoiono, come orsi bianchi o tigri del Bengala. A Siena rimane la mia vita dal 1996 al 2006, dagli otto ai diciotto anni, tra un’infanzia in Svizzera e una vita adulta tra la Francia e il Brasile. Due anni di elementari, tre di medie, cinque di liceo. Ma certo. Sotto il porticato del Liceo Classico Enea Silvio Piccolomini c’era una scritta sul muro: “Cyrano est mort, vive Cyrano”. La scritta è stata ricoperta qualche anno fa. Sul soffitto dell’aula magna c’era un’immensa aquila fascista che veniva mostrata con inquietato orgoglio dai ragazzi dell’ultimo anno il primo giorno della quarta ginnasio. Credo che sarei triste se scoprissi che anche quella non c’è più – e la cosa non ha niente a che vedere con la politica ma con l’egoismo delle mie nostalgie, che spero sempre monumentali, panoramiche.
Come ci si raccoglie su un’epoca quando vengono a mancare i mausolei? Dice che quest’estate il mio professore di greco e latino andrà in pensione. Voglio scrivergli una lettera. Come si va là dove per tanti anni si è tornati? Nei giorni prima della maturità, io e la mia compagna di banco eravamo andate a studiare nei giardini dell’Orto Botanico. Il mio fidanzato di allora mi aveva lasciata e io non riuscivo a studiare da sola. Era un posto bellissimo, non ci sono più tornata. Ieri ho visto la mia compagna di banco, anche lei è partita per Parigi dopo la maturità. Ha partorito da un giorno, abbiamo mangiato dallo stesso piatto di riso, la imboccavo mentre lei imparava ad allattare. Aveva uno sguardo che non le ho mai visto, che non aveva mai avuto prima di ieri, che non capisco ancora, che ci distanzia di migliaia di chilometri. Mamma dice che l’ha chiamato Agostino perché Sant’Agostino era la piazza della nostra scuola. Fra meno di un mese mi sposo. Come si diventa ospiti di quella che è stata la propria città? Quando siamo arrivati in Italia dalla Svizzera non sapevo che i Toscani aspirassero le “c”, certi nomi di persona li ho capiti tardissimo, e solo leggendoli.
Ricordo molto bene la prima volta che ho scritto in italiano – siamo italiani, però fino ad allora ero stata scolarizzata in francese – ricordo il rettangolino di carta su cui ho scritto intuitivamente, per la prima volta, in italiano. Ricordo la sensazione di scrivere in italiano.
Dove sistemeremo gli scatoloni dopo che i miei avranno lasciato la casa? Dove andrà a finire la mia adolescenza fuori dalla mia camera a forma di L? L’anno in cui siamo arrivati a Siena nella mia classe erano arrivate anche una bambina inglese e una tedesca, un ragazzino svizzero e io che ero italiana ma venivo da Losanna.
Siena è una piccola città importante che raggruppa in sé varie tribù riconoscibili per attività e aree di influenza: ci sono gli autoctoni, la contrada, il Monte dei Paschi. Il cuore del cuore di Siena.
Ci sono gli studenti e la sottocategoria degli studenti fuorisede che salgono e scendono via di Pantaneto. Ci sono gli stranieri che lavorano nell’attuale GSK, prima Novartis, prima Chiron Vaccines, prima Sclavo. C’è il grande ospedale delle Scotte nel quartiere di San Miniato, dalla modernità colpevole.
Intorno a questi pianeti ruotano i satelliti di mogli, mariti e figli.
Io sono arrivata come uno di questi satelliti orbitanti intorno al destino professionale di mio padre, faccio parte degli stranieri di Toscana, dei placidi metechi di campagna, dell’accento senese su accento straniero, delle consonanti di collina e delle vocali di metropoli. Senesi imbarazzati, senza contrade, di fuori le mura, esperti del Palio ma fuori dai giochi, ciceroni tuttalpiù di amici e parenti ancor più stranieri di noi. Quello che ci distingue dal turista sono i ricordi.
Oggi è sabato e mia madre mi ha appena mandato una frase di Roberto Bolaño che ha sentito alla radio. “I miei due figli sono la sola patria che ho. E dopo di loro forse alcuni istanti, alcune strade, alcune facce, scene o libri che vivono dentro di me.”
Ho sempre sentito una grande prossimità esistenziale con le cosiddette piante epifite, come le bromeliacee o le orchidee. Le epifite sono quelle piante che non sono radicate a terra ma che, munite di poche, corte radici funzionali, crescono e vivono su altre piante senza parassitarle. Radici adesive o aggrappanti. In alcuni casi, radici aeree.
Troveremo dunque nuovi fusti, dopo Siena, sempre e comunque nuovi fusti dove aderire, aggrapparci, ancorandoci non alla terra, ma agli altri. Questi misteriosi altri con le radici affondate nel terreno.