Testo di Azra Nuhefendic
Foto di Erika Cei
Uno dei posti migliori per capire e godere la privilegiata ubicazione di Trieste “tra mari e monti” è casa Bruner-Tamburini, situata a metà del lungomare triestino, a Barcola. Dalla sua grande terrazza che si affaccia sul mare, a sinistra, si estende la spettacolare vista sulla città e sul golfo semicircolare di Trieste.
Il panorama a destra è dominato da uno dei simboli della città, il castello Miramare, che pare una costruzione da fiaba. Dietro il castello, il mare si estende fino all’orizzonte. Nei giorni limpidi sulla linea del tramonto s’intravedono i campanili veneziani, che da questo punto assomigliano a degli alberelli sottili che sbucano direttamente dal mare.
Non è necessario “essere qualcuno” per trovarsi dai Bruner-Tamburini. Sono il miglior esempio di ospitalità triestina. Da profuga e sconosciuta ci ho messo i piedi per la prima volta venti anni fa, e fui accolta tipo: ”Ehilà, dove sei stata così a lungo?”.
Dopo, negli anni, ci incontravo varia gente, dai premi Nobel, compositori famosi, fotografi, agli studenti che a Trieste arrivano dai paesi meno sviluppati per frequentare uno dei numerosi istituti scientifici, la Scuola Inter-
nazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA), il Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” (ICTP) o Il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (ICGEB), oppure il Centro di Ricerca Multidisciplinare Elettra Sincrotrone.
Nel mondo della scienza internazionale Trieste è un posto di prestigio. Grazie alla comunità scientifica Trieste non è una provincia dimenticata che vive nella nostalgia del suo glorioso passato. La città, ai tempi dell’Impero Asburgico, fu il primo porto e la terza città più importante.
Era naturale che a Trieste si sia pensato di introdurre alla scienza i giovani. A loro è dedicato il museo scientifico “Immaginario scientifico”, situato nella baia di Grignano, un must per chi a Trieste viene con i figli. Mentre i piccoli giocano con la scienza attraverso il metodo “hands on”, cioè toccando e facendo, i genitori possono bere un caffè nei bar vicini.
Trieste è il porto principale per l’importazione di caffè in Europa. Questo si riflette nel fatto – tra l’altro – che il caffè è di ottima qualità, e che i triestini ai già esistenti sessantatré tipi hanno aggiunto due nuovi tipi di bevanda: “capo in bi”, che sarebbe il cappuccino nel bicchiere e, attenzione, solo a Trieste quello che ovunque è il “cappuccino”, è chiamato “caffelatte”.
Da Barcola, girando le spalle al mare, il terreno si raddrizza, diventando quasi verticale. E’ l’altopiano, il carso triestino, che a quel punto preciso finisce con le rocce. Ottimo posto per esercitare l’arrampicata, ogni giorno dell’anno. Ci si arriva per un sentiero lungo circa quattro chilometri, detto dai triestini “la Napoleonica”. La stradina sterrata, quasi piatta, è a circa 300 metri sopra livello del mare, al riparo della bora, ed è percorribile anche d’inverno.
Dalla Napoleonica il panorama della città e del Golfo di Trieste è stupendo. Il punto di partenza potrebbe essere la piazzola a Obelisco. Ci si arriva con la storica tranvia di Opicina che, con un percorso in ripida pendenza, collega il centro della città di Trieste con l’altipiano carsico. I camminatori abituali, di solito, finiscono nella Trattoria Sociale di Prosecco, antico locale che contribuisce alla qualità del menù usando esclusivamente cibi locali. Suggerirei di finire con la pastina millefiori.
Per anni, ogni lunedì, ascoltavo il solito resumé di come i miei colleghi o amici avevano passato il fine settimana: “Go magnà, go bevù e go speso sai poco!”. “Goderecci”, gli rimproverano dalle città vicine.
Quando viaggio, preferisco mangiare dove si ciba la gente locale, trovo sia un’ottima raccomandazione. A Trieste un posto così è il “Buffet Clai”, in zona Piazza Garibaldi. Locale storico, cibo fresco, una tartina di baccalà fatto in casa, un calice di vino (il vino locale, il “terranno” o il prosecco) per 2,5 euro, oppure un piatto tipico triestino: la jota, con crauti, fagioli e pancetta! Un altro di questi posti è la “Trattoria Dalmata”, in zona Sette Fontane, dove il sior Ante, arrivato da Spalato sfida i ristoranti di pesce nostrani (e vince). A Trieste tutti sono venuti a un certo punto: qualcuno ieri, qualcun altro 20, 50 o 200 anni fa.
Ottobre a Trieste è nel segno della “Barcolana”, storica regata velica internazionale. È nota per essere una delle regate più affollate del mondo. L’evento è spettacolare con migliaia di barche che ingorgano il golfo. Sulla terra ferma, parallelamente, tutta la settimana sfilano a piedi migliaia di persone. In quei giorni bisogna prenotare con largo anticipo l’alloggio, anche se la situazione è molto migliorata ultimamente. Ci sono alberghi, come l’imponente “Savoia” sulla riva, tantissimi B&B, camere e appartamenti in affitto, graziose pensioncine famigliari.
Il centro della vitta notturna è tra via Torino, Piazza Venezia e Piazza Hortis, cioè parte della città vecchia. Venti anni fa erano i quartieri da evitare, poi sono stati ricostruiti ed abbelliti grazie ai fondi europei.
Ma il cuore della città è Piazza Unità, considerata una delle più belle e più grandi piazze italiane aperte al mare. E’ circondata da palazzi e edifici pubblici. Il luogo splende, letteralmente, perché i mosaici su alcuni palazzi sono fatti di pietre color oro che brillano sotto il sole pomeridiano oppure di riflesso all’illuminazione notturna.
E’ bellissimo star seduti in uno dei bar che si affacciano sulla piazza, magari sorseggiando uno spritz nello storico bar “Agli specchi”, o nel più piccolo “Caffé Piazza Grande” con vista sulla piazza e sul mare. Per quelli che preferiscono luoghi alternativi, subito dietro c’è il “CafféTeatro Verdi”, gestito da cooperative che si occupano di diversamente abili.
Sulla Piazza Unità sorge la fontana che rappresenta Trieste e i quattro continenti Europa, Asia, Africa e America. La fontana, realizzata nel 1751 dallo scultore bergamasco Giovanni Battista Mazzoleni ha cambiato posto diverse volte, a seconda della politica vigente, e per 30 anni ha “abitato” addirittura in una cantina.
Alle spalle di Piazza Unità, si trova il Colle di San Giusto. Suggerisco di salire a piedi, percorrendo le viuzze che finiscono nella parte più antica di Trieste. In cima ci sono i resti di una grande basilica civile romana e il principale edificio religioso cattolico: la Cattedrale di San Giusto.
Da vedere anche due chiese cristiane ortodosse, quella greca, a riva e poi la bellissima chiesa neobizantina serbo-ortodossa dedicata a San Spiridione, in zona Ponte Rosso.
La sinagoga di Trieste è considerata tra le più grandi in Europa, seconda per dimensione solo al Tempio di Budapest. Testimonia dell’importanza economica, culturale e sociale della Comunità ebraica triestina di una volta. Dopo la Seconda Guerra Mondiale pochi ebrei sono rimasti a Trieste. Del loro tragico destino testimonia oggi il monumento nazionale, all’epoca l’unico lager nazista, la Risiera di San Sabba.
Trieste è la città dei musei. Uno, stravagante, è dedicato alla bora, il vento che in piena forza può superare i 170 chilometri all’ora, sconvolgendo in un attimo la vita abituale dei triestini. Interessante il Museo ferroviario situato nella vecchia stazione di Campo Marzio.
Gennaio è il periodo buono per recarsi Trieste. Nell’ultima settimana del mese vi si svolge il Trieste Film Festival “Alpe Adria”, ormai tradizionale rassegna di opere cinematografiche dell’Europa centro orientale e rara opportunità di vedere film insoliti di autori emergenti oppure quelli diventati famosi dopo essere “scoperti” a Trieste.
I triestini credono di avere ”qualcosa in più” del resto degli italiani, gli piace considerarsi “mitteleuropei”, checché questo voglia dire. In città conferenze, tavole rotonde, discussioni sulla “Trieste asburgica” o sull’imperatrice Sissi, sono frequenti. Di conseguenza, lo storico bar “San Marco” che assomiglia molto ai caffé-bar viennesi è molto amato. Servono tipici dolci “mitteleuropei”, strudel e Sacher, e anche quelli locali: la pinza, una sorta di panone dolce al burro, e il presnitz, una spirale farcita di frutta secca. Tra i clienti abituali del caffè-bar “San Marco” c’è il professore Claudio Magris che, nel suo posto usuale, legge o rivede i compiti degli studenti. Se lo vedete, non disturbatelo, per cortesia!
Pochi considerano Trieste come una meta balneare. Peccato perché ci sono tre chilometri di spiaggia libera, e nel centro della città, “il Pedocin” l’unica spiaggia in cui uomini e donne – come centro anni fa quando fu costruito – sono separati da un muretto.
Azra Nuhefendic, giornalista di origine bosniaca, vive e lavora a Trieste. Collabora con il quotidiano Il Piccolo, è corrispondente per l’Osservatorio Balcani e Caucaso, pubblica su Nazione Indiana, Wal Paper, Sud. Nel 2011 ha pubblicato il libro Le stelle che stanno giù cronache dalla Jugoslavia e dalla Bosnia Erzegovina (Edizioni Spartaco). |
Erika CEI, storica di formazione, Erika Cei è stata “Autore dell’anno FVG 2014 – FIAF con il lavoro “Accademia della follia – una commedia in tre atti”, si è occupata di Bosnia Erzegovina e, sempre nel 2014, ha pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso un reportage sulle alluvioni che hanno devastato il Paese. Premiata nel 2013 dal Workshop Foundry Photojournalism per A Time for Gypsies, un lavoro riguardante una famiglia Rom a Sarajevo, nel 2016 ha allestito una mostra a Dublino, dal titolo Sua mare grega sulla Trieste di James Joyce, e due mostre in Italia: La meta, reportage sui profughi della rotta balcanica approdati in Italia; Ferriera, reportage sulle condizioni di vita delle persone che vivono nei pressi della Ferriera di Trieste, stabilimento siderurgico datato 1897.
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